Delenda Strasburgo!
Fra tutti gli sprechi della UE, quello della sede di Strasburgo è certamente il più insensato ed il più antipatico. Una seconda sede che si utilizza mediamente quattro giorni al mese, a ben 400 Km di distanza da quella principale, è una scelta che considerare stolta sarebbe un eufemismo. Ad ogni seduta plenaria, secondo le procedure dell’Unione, l’intero parlamento letteralmente trasloca, con tutti gli addetti: segretari, traduttori, portaborse, valletti, e chi più ne ha più ne metta. Scartoffie per 200 tonnellate viaggiano in TIR avanti e indietro fra Bruxelles e Strasburgo 12 o 15 volte all’anno! La gestione di questa follia, che comprende alberghi e ristoranti ed ogni altro benefit, indennità di trasferta inclusa, ci costa circa 1,2 miliardi di euro all’anno. L’1% della seconda tranche di prestito, alla Grecia – ma non converrebbe ridurre il tasso di interesse di un punto a quei paese? Il 25% dell’IMU sulla prima casa pagato dagli italiani (e poi finito nelle casse del Monte Paschi, ndr). Una cifra iperbolica che non ha alcuna giustificazione plausibile né sostenibile con alcuna retorica, ancorché pronunciata dal miglior oratore. Una sì, invece e purtroppo. L’elemosina alla Francia. Noti per la loro proverbiale quanto umiliante tirchieria – altro che inglesi, scozzesi o genovesi- i francesi non intendono rinunciare assolutamente ai 20 milioni di euro circa, che la sede UE di Strasburgo fa entrare ogni anno nelle loro tasche, allorché, in occasione delle riunioni del parlamento, triplicano allegramente i prezzi di hotel, bar e ristoranti della loro beneamata cittadina. A nulla è valso il voto quasi plebiscitario della mozione per l’abolizione della sede, che tutti i paesi dell’unione hanno votato il 14 ottobre del 2013: per abolirla ci vuole l’unanimità e la Francia ha posto il veto, come già fatto in passato. Questa situazione odiosa e inaccettabile alla luce del normale buon senso, ancorché al rispetto della situazione di crisi che soffrono la maggior parte dei popoli europei, tornerà certamente alla ribalta con forza nel corso della nuova legislatura che ci apprestiamo ad eleggere. Una riflessione ancor più profonda sulla vicenda, rende lecita una domanda: se questo è il modo di rapportarsi all’Europa dei francesi, così pronti a porre il veto per gli spiccioli di bottega, quale caratura politica possiamo aspettarci sui temi ben più importanti che la UE deve affrontare con urgenza, da quello che è, per dimensioni, economia e popolazione, il secondo membro della comunità? Ma forse siamo ancora troppo lontani dal concetto di comunità, se gli interessi comuni si fermano davanti allo scontrino della brasserie.