La Gran Bretagna sta per esplodere?
Già nel 2014 la Scozia aveva celebrato un referendum per uscire dalla Gran Bretagna e separarsi dall’Inghilterra e dall’Irlanda, ma non passò. Il partito nazionale venne sconfitto (62% di no) e tutto rimase come prima. Poi però c’è stato il famoso referendum che ha portato alla Brexit e dunque lo scenario è completamente cambiato. Gli scozzesi vogliono rimanere ancorati ad una Gran Bretagna extra-europea? si domanda l’attuale primo ministro Nicola Sturgeon la prima donna scozzese a ricoprire insieme la carica di capo del partito e di Primo Ministro. Secondo lei certamente no. Promette anzi di tornare al più presto a far parte dell’Unione Europea. Le manifestazioni di piazza recenti, variopinte e pacifiche come da buona tradizione scozzese, sembrano darle ragione e sostegno, tuttavia il percorso non sembra affatto facile e l’esito neanche scontato.
Vero è che la Scozia perde circa 900 milioni di fondi comunitari all’anno dei circa due miliardi e mezzo complessivi ricevuti dalla Gran Bretagna nell’esercizio 2014-2020.
E’ però soprattutto il Galles a pagare le spese dell’uscita dall’Europa voluta più da Londra che dal resto del regno. E’ li infatti che si sono concentrati i maggiori investimenti degli ultimi anni volti a far risorgere una economia sofferente dalla fine dell’era del carbone che ha fatto di questa regione una delle più depresse d’Europa.
Un discorso a parte merita invece l’Irlanda del Nord, da sempre in posizione “ibrida” e particolarmente complicata. Più volte nel corso degli anni passati la UE è intervenuta sulle politiche “coloniali” cui è assoggettata questa terra da parte dell’Inghilterra e spesso proprio Bruxelles ha dovuto compiere attività di mediazione. Oggi sembra che questa piccola area geografica martoriata da secolari conflitti tribali e velleità monarchiche dal medioevo ad oggi, sia riuscita a cogliere nella Brexit qualche opportunità favorevole.
Per i prossimi due anni almeno conserverà infatti la maggior parte dei privilegi commerciali derivanti dall’essere un Paese UE, pur essendo invece politicamente parte integrante della Gran Bretagna. Una situazione che mentre sulle prime sembra scongiurare tensioni che possano facilmente degenerare, come da storica tradizione, dall’altra è foriera di evoluzioni significative. Cosa ne sarà dell’Ulster, una volta terminati i due anni di “proroga” delle concessioni europee, come sarà gestito il passaggio da UE a NON UE? Molto dipenderà certamente dalle condizioni economiche e politiche nelle quali si troverà fra due anni la Gran Bretagna in generale e molto da quello che farà la diplomazia europea, che certo non ha mai brillato per capacità e lungimiranza.
Ma “la brace cova sotto la cenere” recita l’antico adagio e quella brace è certamente annidata nel Galles. Già il Galles ha votato per il 62% a favore della Brexit e nessuno capisce perché. Come detto in precedenza, è infatti il Galles ad aver ricevuto negli ultimi 5 anni la maggior parte dei fondi della UE per investimenti in nuove tecnologie Green, è sempre il Galles ad aver avuto impianti di produzione delle case automobilistiche giapponesi (una deroga UE alla protezione delle industrie europee, più o meno simile a quella di cui hanno beneficiato in seguito Paesi com La Repubblica Ceca e la Romania – e subìto in danno l’Italia, Ndr.). Al momento del referendum sulla Brexit il popolo gallese sembra aver subito un lavaggio del cervello di massa, come ci racconta Carol Cadwalladr, nel suo celebre TED, che riportiamo su Iurop e vi consigliamo caldamente di guardare (è un ottimo esempio anche per le nuove destre nostrane).
Ora che i giapponesi hanno lasciato il Galles e circa 1,5 miliardi all’anno di contributi europei se ne vanno in fumo, la depressione è alle porte. Cosa farà il Galles?
Soprattuto gli osservatori economici si domandano come possa la Gran Bretagna il cui Pil è composto per l’89% da servizi, cioè beni immateriali, nessuna produzione agricola, un mercato ittico già in crisi ed una posizione internazionale drammaticamente debole, a fronteggiare le nuove sfide di questo secolo appena cominciato che vede nuove superpotenze come Cina ed India sempre più protagoniste. Laddove oggi l’Europa è sempre più incalzata ad essere più coesa e trovare la propria forza in una trasformazione radicale da libera associazione di Stati a Superpotenza, che spazio resta per le autonomie isolane? Come farà la Corona a mantenere fedeli ed uniti i suoi sudditi? Con quali risorse e con quale autorevolezza? A proposito di autorevolezza: che ne sarà di Gibilterra?