Antonio, monarchico in esilio. Italiano ma non troppo
L’estrazione di Antonio Tajani è quella delle famiglie bene romane: Liceo Classico Tasso, lo stesso di Andreotti e Gassman, laurea in Giurisprudenza alla Sapienza, e poi politica da medio borghese. Antonio non è solo di quelli favorevoli al rientro dei Savoia in Italia, ma proprio vice segretario del movimento giovanile dell’Unione Monarchica. Una scelta quanto meno singolare se si considera che avviene negli anni in cui la gioventù romana si distingueva in Europa per le contestazioni violente che hanno portato in seguito ai terribili anni di piombo. Allora, ad essere proprio moderati, si militava nella FIGC (federazione dei giovani comunisti, ndr) o al massimo nei Radicali, romantici incompresi del movimento giovanile: ma democristiani o monarchici, proprio no. L’emarginazione era assicurata. Si era “…lontani dalla lotta, dal dolore e dalle bombe” come recitava Gaber. E infatti di Antonio Tajani non si è mai saputo nulla fino al 1994 quando diventa cofondatore di Forza Italia, una delle poche teste pensanti di quel movimento, che subito si impone come colto, preparato e serio. Via in Europa alla prima occasione. Troppo scomodo per restare in Italia in un movimento consacrato più agli affari che alla politica. Tenta il rientro alcuni anni dopo, cercando la scalata al Comune di Roma ma viene battuto prevedibilmente nel 2001 da Veltroni. Niente di più che portavoce del governo Berlusconi, in Italia. Un po’ perché il profilo serio e rispettoso delle regole democratiche in Italia non paga mai, un po’ per quella specie di maledizione che colpisce tutti i nostri politici che si distinguano in Europa: quel “nemo profeta in patria” che ha colpito la stessa Bonino, ma anche Monti, la Gardini e tanti altri. Nel 2008 va a sostituire Frattini nel ruolo di Commissario europeo ai trasporti e lì un po’ di patriottismo lo porta a schierarsi a favore dell’intervento pubblico nella vicenda Alitalia. Povero illuso, non aveva capito che le regole europee servivano da paravento a quei “coraggiosi imprenditori” senza una lira ma politicamente trasversali, che poi fecero carne di porco della nostra compagnia di bandiera, come sappiamo. Elogiato e premiato in ogni parte d’Europa per il suo impegno a favore dello sviluppo e delle imprese, tranne in Italia dove gli imprenditori si lasciano suicidare allegramente per anni, oggi, poco prima della scadenza del suo mandato di Commissario per l’Industria e l’imprenditoria, apre la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia ( la centodiciassettesima per il nostro paese, ndr), morosa ed imbrogliona sui pagamenti alle imprese. E allora, apriti cielo, via alle polemiche più strampalate, giuste figlie di una classe politica che non sa e non vuole crescere. L’Europa e Tajani rispondono all’unisono alle polemiche senza senso che in questi giorni si nutrono di stampa accondiscendente. “L’Italia dovrebbe già ringraziare Tajani per quanto si è speso per non far bocciare il Def 2014 che contiene il rinvio del pareggio di bilancio al 2016; non si può tirare la corda all’infinito.” Tajani ha dunque compiuto ineccepibilmente il suo lavoro di Commissario europeo. Per questo si dimette subito, tanto Renzi lo silurerebbe comunque.