Il pericoloso fumo di Venezia
Fra le tante magre figure che l’Italia sta collezionando in Europa ormai da anni, quella sull’agenda digitale è certamente la più evidente se non altro perché dell’arretratezza digitale del nostro paese il cittadino comune se ne rende conto ogni giorno in prima persona. Immaginiamo con quale animo Neelie Kroes abbia introdotto il Presidente di turno Matteo Renzi al Digital Venice. La Kroes, responsabile della Agenda Digitale Europea, è una donna pragmatica abituata a fare risultati. Il clamoroso successo ottenuto ad aprile – l’abbattimento progressivo del roaming in Europa – dimostra tutta la sua competenza e la determinazione nel rispettare i tempi dell’agenda a favore dello sviluppo del mercato. Ora si trova ad introdurre alla presidenza il rappresentante di un paese membro, l’Italia appunto, che dalla istituzione dell’Agenda Digitale italiana, nel marzo 2013, non è andata oltre i proclami, accumulando un ritardo spaventoso rispetto a tutti gli altri paesi della comunità. Non solo gli investimenti promessi non sono mai stati effettuati, ma per quel poco che si è almeno deliberato mancano i decreti di attuazione, i pareri dei ministeri competenti, la nomina del responsabile dell’Agenda medesima: insomma la solita fuffa italiana. Matteo Renzi non è certo responsabile di tutta questa arretratezza, posto che è salito al comando solo nel 2014, e si trova quindi fra le mani un’occasione d’oro per dimostrare la differenza di passo con i suoi predecessori. Fosse la volta buona che passi dalle parole ai fatti? Le premesse non sembrano però annunciare nulla di buono. La posizione assunta dal governo italiano è apparsa subito fumosa e per alcuni versi difficilmente comprensibile ai partner europei. Quale nesso ci sia fra le riforme istituzionali – sulle quali è in corso un dibattito interno quasi kafkiano da mesi – e l’Agenda Digitale non ci è dato di sapere. Sia Renzi al Digital Venice che Padoan all’Ecofin, hanno poi chiesto (meglio sarebbe dire ventilato la proposta) che ai paesi che promuovano le riforme istituzionali e strutturali venga concessa maggiore flessibilità sui parametri contabili. Intanto non si capisce cosa c’entrino le riforme strutturali con quelle istituzionali, dato che le prime riguardano, almeno per l’Italia, le pensioni e le seconde il Senato ed il titolo quinto (Regioni, Comuni, Province etc. ndr) nonché la legge elettorale. Poi si capisce ancor meno cosa c’entrino entrambe con un’Agenda Digitale varata in tutta Europa da quasi due anni che vede l’Italia ultima fra gli ultimi quanto ad azioni concrete. Proprio l’Italia che già all’avvio dell’Agenda scontava un digital divide con il resto d’Europa da fare vergogna e che quindi più di tutti gli altri avrebbe dovuto affrettare il passo. Dulcis in fundo, l’Italia vorrebbe che gli interventi a favore dello sviluppo digitale fossero tenuti fuori dai parametri di bilancio e considerati quali “investimenti strutturali per la ripresa economica e l’occupazione”. E cosa altro erano se non questo, fin dall’inizio? Solo che gli altri paesi li hanno fatti, l’Italia no, anzi ha continuato a sperperare in ben altri modi le proprie risorse ed oggi chiede regole diverse per attuare quello che avrebbe dovuto aver già fatto da tempo. Siamo alle solite, certamente, ma oggi c’è un pericolo in più. Gli osservatori più attenti delle vicende europee ed i lettori de L’Ora della Ghigliottina per primi, ricorderanno che Angela Merkel propose a suo tempo (fine 2012, inizio 2013 ai tempi della crisi, ndr) che le spese militari fossero portate nei bilanci come “investimenti strutturali” e dunque assoggettate ad ammortamenti più lunghi e contabilizzate in modo diverso. Già, perché nel bel mezzo della crisi finanziaria, la brava Angela aveva rifilato ben due sottomarini alla Grecia per 4 miliardi di euro e uno all’Italia per due! Le polemiche che ne seguirono furono ben nascoste dalla maggior parte degli organi di informazione ma certo offrirono il fianco ad una giusta protesta popolare che in Grecia ha conosciuto anche episodi di violenza ed in genere in Europa ha fomentato l’antieuropeismo e la crescita delle destre. L’ultima elezione ha ben confermato questo sentimento di rivolta nei confronti sopratutto delle politiche germano-centriche. Se oggi dunque l’Italia – unico paese europeo in cui il voto ha invece premiato l’establishment – chiede una maggiore flessibilità e propone modifiche sui criteri contabili relative proprio agli “investimenti strutturali”, l’assist alla Merkel potrebbe rendersi palese nel breve. Tanto più che Padoan va dicendo a tutti i fedeli cronisti che “siamo perfettamente allineati con la Germania”. C’è da tremare.