La cosa sbagliata al momento sbagliato
Sembra essere questa la spietata sintesi della figura italiana al vertice di Bratislava. Il Presidente del Consiglio può inveire da altre sedi sulla politica economica della Germania e raccontare in casa propria il suo dissociarsi, quanto crede. Infatti non perde occasione e possiamo star certi che fra poco riuscirà a far passare l’idea (solo in Italia) di essere stato lui a non voler partecipare alla conferenza stampa finale, invece che, come nei fatti è accaduto, a non essere nemmeno invitato. Sta di fatto che Bratislava non era un vertice economico o quantomeno i temi di economia e bilancio non erano certo le priorità sul tavolo. In primo luogo perché l’Italia, almeno fra i Paesi fondatori, è l’unica ad avere “bisogni impellenti” relativi alla propria disastrosa situazione contabile e finanziaria, poi perché a Bratislava i nodi cruciali sul tappeto, certamente non risolti, erano costituiti fondamentalmente dalla sicurezza e dall’immigrazione. Lamentarsi che non si sia dato ascolto ad una ennesima quanto ingiustificata richiesta di elasticità è dunque come andare ad un convegno di musicisti e protestare perché non si parli di biciclette. A Bratislava i temi fondamentali erano le politiche sull’immigrazione, la lotta al terrorismo e la difesa. Che ci azzeccano, per dirla con Di Pietro, i conti disastrati dell’Italia e le sue pretese inascoltabili?
Non è neanche necessario stare qui a spiegare che il nostro Paese ha già malamente sprecato non solo una elasticità nel rispetto dei parametri, già ottenuta l’anno scorso, ma anche l’incredibile fortuna del Quantitative easing, grazie al quale ha allegramente aumentato il proprio indebitamento ottenendo una liquidità a costi minimi, senza però riuscire a produrre il benché minimo risultato in termini di crescita, di occupazione o di sistemazione dei conti dello Stato. Non serve, semplicemente perché fuori tema.
Si può poi certamente ben dire che sugli argomenti principali del summit non si sia arrivati a nessuna decisione significativa e che questo sia dovuto al fatto che Angela Merkel si trovasse a ridosso di una importante scadenza elettorale (che poi la ha vista punita dal popolo tedesco con una perdita del 6% circa a Berlino) e che le elezioni nazionali sono imminenti sia in Germania che in Francia, dove le destre che cavalcano la xenofobia sono in preoccupante crescita. Certo. Ed è altresì certo che la posizione attendista dei due leader dei principali Paesi europei nei confronti del tema immigrazione fosse più che scontata. Forse però insistere su questo punto, evidenziando le debolezze del sistema Europa ed il forte condizionamento che esso subisce in senso negativo dalle necessità politiche interne dei suoi Paesi membri, avrebbe giovato al dibattito e magari si sarebbe anche potuto ottenere una maggior attenzione all’Italia, quale Paese in prima linea su questo fronte. Accettare ulteriori rinvii e disinteresse su un tema così caldo è stata la dimostrazione palese della inconsistenza del nostro governo. Lamentarsi perché nessuno si sia curato dei nostri conti, è stato ancor peggio. Ci ha resi ridicoli e ci ha ancor più emarginati in un contesto dove invece, numeri alla mano, dovremmo contare almeno quanto gli altri. Dopo aver buttato oltre trenta miliardi in iniziative risibili quanto socialmente inutili come i vari bonus e l’osannato Jobs Act, per poi chiedere elasticità nei conti, cioè nuovi debiti per tutti noi, perché c’è stato il terremoto ed arrivano i migranti, ci fa fare la figura dei pezzenti con il cappello in mano. Non è affatto dignitoso per la terza economia d’Europa.