Barak e Jean-Claude mal comune…..
Ecco cosa ci aspetta dopo la sconfitta dei democratici americani e le beghe sul fisco di Juncker.
Il Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker è oggi sotto accusa per il mastodontico dossier (28 mila pagine) sugli accordi fiscali segreti stipulati con le multinazionali americane negli ultimi otto anni, quando era primo ministro del Lussemburgo. E’ da notare che questo dossier sia stato prodotto da un’agenzia di giornalismo investigativo americana e questo fatto alimenta più di qualche sospetto. La Commissione Juncker è infatti la prima ad essere stata nominata secondo le nuove regole democratiche dell’Unione (cfr.Ns. Articolo), sottoscritte nel Trattato di Lisbona. Proposta dai governi (Consiglio Europeo) in “concertazione” con il Parlamento. Il trattato, in sintesi, supera il vecchio sistema di nomina dei Commissari che veniva deciso solo dai membri del Consiglio (il gruppo dei primi ministri,ndr), a prescindere da quanto espresso nelle urne dai cittadini, che eleggono solo il Parlamento (Se cominci a confonderti fra gli organismi europei, fai il quiz di iurop). Non si è proprio arrivati ancora ad una vera democrazia ma, almeno questa volta, si è messo a capo dell’esecutivo chi di fatto ha vinto le lezioni cioè i democrisitiani con Juncker e dunque non Schultz con il PSE- più gradito alla Germania- non il PD, che è riuscito a perdere le elezioni con il 40% dei consensi interni, nonostante molti italiani continuino a cantar vittoria.
Una scelta davvero mal digerita dai poteri forti d’Europa che si sono subito affrettati prima a produrre ed imporre dei super-commissari, falchi Merkel-dipendenti, almeno nel settore economico (cfr. Fai il caffè, Jirky…). Ma la guerra interna alle stanze dei bottoni in Europa si estende oltre i nostri confini e coinvolge sopratutto i tradizionali “nemici “ dell’Unione e cioè quei poteri forti americani che vivono della mancanza di unione ed armonizzazione dell’Europa, seguendo l’antica regola del “divide et impera”. In questo scenario, la perdita della maggioranza da parte dei democratici al Congresso USA, rischia di trasformarsi in un’autentica calamità per il destino dell’Unione. In primo luogo perché Barak Obama resterà per i prossimi due anni al governo di un Paese il cui Parlamento non lo appoggia più e sarà dunque costretto a praticare una politica bivalente ed a tratti contraddittoria. Mentre all’interno cerca il consenso con la proposta di dare la cittadinanza alle minoranze afro e sud-americane del suo paese, rafforzando il messaggio democratico, dall’altra preme sull’Europa per la ratifica del trattato Transatlantico (TTIP vedi sito UE) e per l’estensioni dei confini della Nato, come vogliono i Repubblicani, per evidenti ragioni di business, per niente consoni allo sviluppo armonico dell’Europa. In poche parole, il Trattato Commerciale Transatlantico è quello che ci vuole imporre la ricetta della piadina romagnola prodotta dall’industri alimentare americana, mentre il piano espansionistico della NATO comporta un rigore insensato nei confronti della Russia, con sanzioni economiche che penalizzano più gli europei che i russi, riducendo la nostra espansione commerciale. Infine con i finanziamenti all’Ucraina che vanno a pesare sui bilanci dell’Unione e sui quali molti paesi si trovano divisi. Perché mai infatti finanziare l’Ucraina, che di europeo ha poco o nulla, e non invece quei paesi già nell’Unione che vivono oggi maggiori difficoltà, come la Grecia, Cipro, l’Irlanda o il Portogallo? Questo sbilanciamento della politica dell’Unione, tutto orientato a soddisfare i bisogni impellenti della superpotenza americana in crisi economica – a chi vendono gli americani se non all’Europa? – finanziaria ed infine politica, sta producendo un assurdo fenomeno di cannibalismo interno fra i paesi dell’Unione, del quale parliamo in diversi articoli a proposito di guerra del fisco.