Commissione a democrazia forzata
Per quanto i più possano averne avuto l’illusione, la elezione di Jean-Claude Juncker a Presidente della Commissione non era affatto scontata. Non lo era perché non sta ancora scritto in nessun trattato europeo che il presidente incaricato debba essere il candidato premier del partito (eurogruppo in questo caso, cioè un gruppo a cui aderiscano partiti di almeno 7 paesi, ndr) che vinca le elezioni, come invece avviene in Italia da quando esiste il sistema maggioritario. Non lo era perché la nomina in Europa l’ha sempre fatta il Consiglio europeo e cioè il gruppo dei capi di stato o presidenti del consiglio, composto di 28 membri che nessuno vota in Europa, bensì solo nei propri paesi e non sempre – Renzi è il nostro terzo presidente consecutivo non eletto. Il Trattato di Lisbona ha invece introdotto per la prima volta un sistema di “condivisione” in base al quale il Presidente della Commissione viene sì designato dal Consiglio europeo, ma deve, e finalmente, essere ratificato dal Parlamento. Un piccolo passo avanti verso la gestione democratica dell’Europa, dunque, addirittura annunciato da Schultz come un evento storico, anche se il cammino verso una reale democrazia compiuta appare ancora lungo.
Di tutte le indiscrezioni ed i commenti che le cronache politiche hanno riportato nei giorni successivi al voto, di fatto la più accreditata in merito a questa scelta è quella che riguarda la paura dell’euroscetticismo dilagante, quale prima motivazione della nomina di Juncker. L’indirizzo dei potenti – che in un primo momento avevano pensato alla terribile Lagarde – è stato dunque di prudenza. Frenare le proprie ambizioni particolari, evitare lo “strappo” alla pur debole tela delle regole democratiche, far buon viso a cattivo gioco, insomma. Alla fine una vittoria della democrazia, sebbene appunto per niente scontata. Ai commenti negativi ed alle dichiarazioni di sfiducia delle nuove opposizioni, la Le Pen e Farage, per primi, Juncker ha risposto con fermezza, come ci si attendeva. Un’Europa che tira dritto per il suo cammino, in sintesi, il messaggio iniziale, che il Parlamento ha approvato con 422 voti su 729. Ora l’aspettativa è molto alta, però. Lo stesso Juncker, che già in passato aveva lamentato le limitazioni di origine franco-tedesca, (cfr nostro articolo) ha annunciato di voler mettere in atto programmi orientati allo sviluppo ed alla crescita. Quali non si sa ancora bene, posto che non vi è cenno alla flessibilità sulle regole di bilancio – come racconta la nostra stampa- ipotesi che neanche prende in considerazione il NeoPresidente, definendo i criteri di flessibilità già esistenti più che sufficienti a garantire la ripresa economica, se correttamente utilizzati. Un palmo di naso dunque per i Renziani entusiasti che scommettevano sul successo del nostro attuale premier nell’ottenere deroghe e rinvii e tolleranze all’italica maniera. Tuttavia un indirizzo diverso dall’austerità che in questi ultimi anni ha messo in ginocchio l’economia in quasi tutta Europa. Sembrerebbe un equilibrio funambolico, un approccio democristiano paludato, un fumoso concetto inapplicabile, sulla carta. Lo vedremo nei fatti, già dall’autunno.