Consoli Romani per governare l’Europa?
Fra Commissione Europea e Consiglio d’Europa chi decide davvero?
Nell’antica Roma due Consoli con pieni poteri ciascuno venivano scelti dal Senato per governare la città; spesso si alternavano nella gestione delle materie di governo, lavoravano sempre insieme sulle questioni belliche. Il sistema a due Consoli ha resistito per quasi un millennio, sopravvivendo alla monarchia ed all’Impero, pur vivendo alterne vicende ed avendo un peso politico diverso a seconda dei periodi storici attraversati da quella civiltà. Oggi l’Europa si trova davanti ad una forma molto simile di governo, avendo infatti un Presidente della Commissione ed un Presidente del Consiglio. A differenza dei Consoli di Roma, entrambi nominati dal senato, questi sono eletti dal Parlamento europeo il primo, in modo simile ad un primo ministro, e dal Consiglio d’Europa il secondo. Su questo ultimo organismo, sulle sue funzioni ed i suoi poteri, il dibattito europeo è ancora aperto e merita delle riflessioni
approfondite. Il sistema decisionale dell’Unione Europea è alquanto complesso ed articolato ed ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, attraverso la faticosa ratifica di trattati fra i paesi membri. L’ultimo di questi, il famoso e forse fin troppo osannato dai media è il Trattato di Lisbona, che apporta alcune significative modifiche al sistema di governo attualmente in vigore, cioè quello del trattato di Nizza.
Gli elementi di novità introdotti dal trattato di Lisbona sono diversi: tre di essi rivestono particolare importanza. In primo luogo è stato modificato il numero dei rappresentanti per ciascun paese membro nella composizione del parlamento europeo, introducendo un criterio di proporzionalità rispetto al numero dei cittadini residenti in ciascun paese, con un metodo di ponderazione per i paesi meno popolati.
Per quanto ci riguarda recupereremo un seggio, passando dai 72 del 2009 a 73 come il Regno Unito (nel 2007 ne avevamo entrambi 78), mentre la Francia ne avrà 74 e la Germania ne perderà 3 passando dai 99 del 2007 e del 2009 a 96. Il secondo punto importante è la attribuzione definitiva della funzione di indirizzo politico dell’unione da parte del Consiglio Europeo, organo composto dai capi di Stato o di Governo (per l’Italia di governo in quanto organo decisionale). Questo passaggio è particolarmente critico in quanto il Consiglio Europeo è nato come una scelta di libera iniziativa nel ’61, ed ha operato attraverso riunioni informali e con periodicità incerta fino alla riunione di Parigi nel ’74 in cui si decise di fissare un calendario delle riunioni. In seguito a Maastricht prima e ad Amsterdam poi, si è ratificata “l’esistenza” di fatto di questo organismo, inserendolo a pieno titolo fra le istituzioni comunitarie e dando maggior significato alla sua funzione. Tuttavia è importante sottolineare che il Consiglio d’Europa è di fatto, anche con la ratifica di Lisbona, un organo sprovvisto di qualunque forma di controllo democratico e giurisdizionale sul piano comunitario, in quanto non sottoposto alle regole procedurali dei trattati istitutivi né a limiti di competenza. Sospendiamo per ora il giudizio sulla validità di questa forma di Istituto poiché il suo operato ha prodotto risultati spesso controversi. Mentre da una parte la sua natura informale ha facilitato l’ingresso nell’unione di nuovi paesi ed accelerato alcuni processi di unificazione, va anche detto che la sua azione ha forzato i tempi dell’unificazione monetaria e che comunque non tutti gli europei sono soddisfatti del suo operato. La buona pratica della democrazia imporrebbe di prendere atto che, allorquando si renda necessario l’intervento e l’azione di un organo informale e svincolato dalle procedure per ottenere un buon risultato, questo significa che le procedure e le regole vanno migliorate e rese più efficienti, non scavalcate. Su questo aspetto si incentrerà a mio avviso il dibattito politico europeo negli anni a venire, soprattuto a valle dei risultati delle prossime elezioni in calendario per la fine di maggio, poiché il contenuto della terza e più importante modifica introdotta dal trattato di Lisbona è proprio la modifica del sistema di governance dell’Unione. Avremo nei fatti un’Europa con due “Primi Ministri”. Uno eletto dal Parlamento a capo della Commissione – il governo dell’Unione espresso dal parlamento con un sistema democratico che contempera la rappresentatività di ciascun paese membro, con la proporzionalità del sistema elettorale – l’altro eletto dai capi di governo con una maggioranza qualificata di un organismo, Il Consiglio d’Europa appunto, i cui membri – si veda in primis il caso Italiano – non sono stati affatto votati dai legittimi elettori europei, cioè da noi. Considerando infine le sovrapposizioni delle competenze fra le due cariche e le due istituzioni, come ad esempio la rappresentanza dell’Europa nella politica internazionale, dove i limiti di competenza sono tutt’altro che chiaramente definiti, c’è da aspettarsi più di qualche attrito fra le due “poltrone”. Va ricordato in questa ottica che la carica di Presidente del Consiglio europeo (quello dei capi di governo, per non perdere il filo, ndr) è incompatibile con qualsiasi incarico nel proprio paese. Non ci potrà dunque essere un Presidente del consiglio europeo che sia contemporaneamente capo del governo nel proprio paese. Ma in Europa? sarà possibile avere un Presidente del Consiglio europeo che sia anche Presidente della Commissione? E se così fosse sarebbe un bene per l’Europa, o si aumenterebbe il deficit di democrazia che già da tempo si lamenta? Quel che è certo è che le prossime elezioni europee ci richiamano al nostro dovere di elettori con una forza mai conosciuta prima. Dovremmo esercitare il nostro diritto di voto con grandissima responsabilità perché è da noi stessi che dipende davvero il nostro futuro, mai come questa volta, in Europa.