Perché ci giudicano loro
Molti si chiedono perché mai la nostra legge finanziaria sia soggetta all’approvazione di Bruxelles e perché mai l’Italia si trovi a dover negoziare con l‘Europa i propri programmi finanziari. Abbiamo visto il cosiddetto premier Renzi, sopratutto negli ultimi tempi, criticare aspramente la politica dell’austerity e cercare la polemica se non proprio la rottura in più occasioni con la rigidità”imposta” dall’Europa. Tolto il fatto che per noi tutti cittadini italiani, l’idea di avere un organismo superiore che impedisca ai governi di indebitarci fino al collo per le prossime generazioni, non possa essere certamente visto come un male, cerchiamo di capire perché il nostro piano finanziario per il prossimo esercizio, debba essere convalidato dalla UE e non dal Parlamento italiano. Con buona pace di chi crede che il Parlamento sia sovrano ma anche di quelli che pensano di farla sempre franca, qualsiasi cosa combinino nel nostro Paese ed ancor più nelle nostre tasche.
Con le modifiche al Trattato di Lisbona e con le modifiche alla nostra Costituzione apportate dal governo Monti (in barba a chi ancora ritenga che la nostra Costituzione non sia stata mai cambiata, la media è di due modifiche all’anno negli ultimi sedici anni,ndr) è stato introdotto l’obbligo del PAREGGIO DI BILANCIO. Questo significa che i Paesi aderenti al trattato si obbligano a non spendere più di quanto incassano, il ché costituisce già la prima tutela per i cittadini di quel Paese, oltre che per il sistema finanziario unificato che si vorrebbe raggiungere prima o poi ed il cui primo – e ad oggi forse unico- passo è stato l’adesione alla moneta unica. Nei fatti, il mancato rispetto di questo impegno solennemente assunto, può creare disequilibri per l’intero sistema ed esporre gli altri soci del club Unione Europea ad un rischio non trascurabile. Rischio in parte calcolato ed in qualche misura prevenuto. Tanto prevenuto che si è costituito un fondo, al quale l’Italia di Monti ha prontamente aderito, nominato MES, ed articolato nella sua gestione ed operatività sulla falsa riga del FMI Fondo Mondiale di Investimento.
Sulla costituzione di questo fondo, e sopratutto sui suoi meccanismi di attuazione incostituzionali e pericolosi per qualsiasi democrazia vi invitiamo a leggere il capitolo Europa nel libro Fascismo on demand, dell’autore. La ragione per la quale le nostre previsioni di bilancio vengano sottoposte all’approvazione di un organismo comunitario è sostanzialmente questa: se un Paese membro non rispetta gli obiettivi di bilancio, vuoi perché spende male, vuoi perché anche se bene – e certamente non è il nostro caso – spende più di quello che si può permettere, c’è il rischio che gli altri Paesi membri debbano far fronte al debito per suo conto, per salvare il sistema ed infine la moneta. Il punto chiave di queste belle leggi di programmazione finanziaria è costituito dal fatto che esse si basano su una previsione certe, la spesa, e su una incerta, l’incasso. Da qui le strampalate stime sulla crescita del PIL, sul gettito fiscale e sulla lotta all’evasione. Poiché i numeri non tornano, litania alla quale siamo tristemente abituati, costantemente i governi si affannano ad inventare stime fra le più incredibili.
E poiché non esiste alcun vate o Sibilla Cumana in grado di certificare queste stime, ogni anno ci troviamo puntualmente a consuntivare un mancato raggiungimento degli obiettivi previsti e dunque a dover ricorrere a “tagli” che si ripercuotono sistematicamente sulla qualità dei servizi pubblici e sul reddito di ciascun cittadino. Dov’è il punto di equilibrio in un sistema così opinabile e dubbio? Nella buona politica: quella che spende il giusto per le cose giuste e che lascia ai cittadini la possibilità di produrre e beneficiare del proprio reddito. Siamo lontani,lontanissimi…