Dove metto il deputato?
Domenica eleggeremo il nuovo Parlamento Europeo. Il nostro Paese porterà a Bruxelles circa il 10% dei parlamentari, 73 su 751.
Proponiamo ai lettori di Iurop un quadro sintetico delle appartenenze dei nostri partiti ai più grandi gruppi del Parlamento Europeo al solo fine di fornire un orientamento al voto quanto più possibile consapevole, poiché informato. Soprattutto riteniamo giusto elaborare delle ipotesi di cambiamento dello scenario all’interno delle coalizioni del Parlamento Europeo, considerati i grandi stravolgimenti avvenuti negli ultimi anni all’interno di Paesi importanti come l’Italia, la Spagna, la Grecia e non ultima la Germania.
Cominciamo subito con il dire che i partiti come noi li conosciamo, cioè i nostri schieramenti locali, in Europa non esistono, o meglio, non contano.
Già perché il Parlamento europeo è organizzato in grandi schieramenti che raggruppano le forze politiche dei diversi Paesi dell’Unione. Non potrebbe del resto essere diversamente poiché altrimenti avremmo un migliaio di partiti rappresentati nello stesso parlamento. Per costituire un “Gruppo Parlamentare”, è necessario mettere insieme la rappresentanza di almeno sette Paesi dell’Unione. Questo significa che ciascun partito che si presenti alle elezioni, per poter “contare” qualcosa in Europa, deve aderire o formare un gruppo con almeno altri sei partiti rappresentati in sei diversi Paesi dell’Unione. Così avviene che i democristiani tedeschi, da tempo immemore in maggioranza in Germania, facciano parte del PPE, il raggruppamento dei cristiano democratici europei, la nostra democrazia cristiana ormai estinta, dove è entrata a pieno titolo Forza Italia ma dove vorrebbe entrare anche Adinolfi con i suoi estremismi raccapriccianti che sembrano lontanissimi dalle idee del popolo della Merkel.
Sintesi della attuale distribuzione dei nostri parlamentari nel PE
Nella sinistra, il PSE (S&D) ha sostituito la storica “internazionale socialista” radunando le sinistre d’Europa. Da notare che il PD ha aderito a questo gruppo solo due mesi prima delle ultime elezioni del 2014 per scelta di Renzi, che poi incassò un risultato “storico” per quel partito in Italia, ma perdente per il suo schieramento europeo. Questo raggruppamento è però considerato non esattamente di sinistra da molte forze minori come il nostrano La Sinistra di Fratoianni e Podemos in Spagna che aderiscono alla GUE, l’unione delle sinistre verdi e della sinistra nordica, nonché la più ben nota Syryza greca, l’unico in maggioranza ed al governo nel proprio Paese.
Va detto per correttezza di informazione che non è che i piccoli partiti qualora non raggiungano compromessi con una di queste coalizioni o non ne costituiscano una nuova, non possano essere presenti al Parlamento di Bruxelles, una volta superata la soglia del 4% all’interno del proprio Paese. Ciascuno di questi, se non aderente ad un gruppo, viene collocato nell’area del gruppo misto; né più e né meno come nel nostro Parlamento, con tutte le limitazioni che ciò comporta.
Queste premesse per fornire una valutazione agli elettori di importanza non marginale che la nostra informazione nazionale spesso trascura. Il collocamento in un gruppo parlamentare europeo, oltre a valutazioni di carattere squisitamente ideologico, ci offre importanti indicazioni su quale peso il nostro voto potrà avere nei prossimi cinque anni, nell’evoluzione della politica europea.
Il clima di evoluzione-rivoluzione in atto in Europa ci suggerisce anche ipotesi sul possibile cambiamento degli scenari a Bruxelles, ma forse non proprio aderente a quello che percepiamo all’interno del nostro Paese.
In primo piano dobbiamo mettere naturalmente i partiti che oggi rappresentano la maggioranza nel nostro Paese e sono attualmente al governo. Per coincidenza è proprio su questi due partiti che si possono prevedere le maggiori evoluzioni nel quadro europeo.
Allo stato attuale il partito di maggioranza relativa in Italia è il M5S che in Europa fa parte dello EFDD, 5,9% a Bruxelles, in compagnia del britannico Farage leader dello UKIP inglese, fautore della Brexit. Da pochissimo tempo però, lo scenario è completamente cambiato. Farage infatti ha dovuto prima lasciare il gruppo a causa della Brexit e poi, a causa del rinvio della stessa, dovrà decidere se restare in questo gruppo o aderire ad un altro ancor più di destra, come l’ENF dei sovranisti, avendo trasformato lo Ukip in una nuova veste, lo Brexit Party. Dall’altra parte Di Maio ha annunciato il 9 gennaio scorso l’intesa raggiunta con altri movimenti giovanili in maggioranza concentrati nell’est Europa, primo fra tutti lo Zividid croato che vanta un 15% all’interno del propio paese, che però sono portatori di idee contrastanti con la politica interna del M5S, propugnando l’uscita dalla NATO e dall’euro. Dunque una alleanza che suona alquanto improponibile per un partito di governo italiano.
Potrebbe riaffacciarsi la possibilità di un ingresso del M5S nell’ALDE, gruppo dei liberali assai più consistente in Europa, 9%, e sicuramente più moderato. L’ingresso nell’ALDE, annunciato improvvisamente da Grillo e dal segretario Guy Verhofstadt nel 2017 e poi repentinamente smentito dalla maggioranza interna alla coalizione, che aveva valutato la scelta di Verhofstadt una iniziativa personale e non condivisa, sembra trovare oggi un più ampio consenso. Nell’Alde confluiscono anche i radicali di +Europa, come da lunga tradizione liberale e questo schieramento si presenta alle elezioni come il più candidato a fare da ago della bilancia della eventuale maggioranza di Bruxelles.
Per quanto dunque il M5S goda in Europa oggi di un solido apprezzamento quale forza politica capace di canalizzare il dissenso popolare in una iniziativa di governo, il suo destino nel Parlamento UE è ancora incerto.
Altro capitolo merita invece la Lega di Salvini, attualmente seduta sui banchi dell’ENF, la destra estrema d’Europa che minaccia di aggiungere ai suoi componenti, attualmente rappresentanti di 9 Paesi, le nuove destre emergenti di Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca e Croazia. A questo gruppo potrebbe aderire anche Orban, attualmente nel PPE, considerata l’estremizzazione delle sue posizioni e la chiara espressione di non gradimento della sua presenza nei Popolari espressa dalla Merkel. Infine potrebbe andare a rinforzare lo schieramento di estrema destra anche il gruppo di Fratelli d’Italia i cui rappresentanti siedono oggi nei banchi del PPE, poiché eletti nel 2014 con forza Italia. Sono dunque da non sottovalutare i timori di chi prevede un forte aumento della destra in Europa, tuttavia se le percentuali interne a ciascun Paese dovessero confermare i dati della precedenti elezioni nazionali, i partiti che oggi detengono la maggioranza in Italia difficilmente supererebbero insieme la soglia del 20% in Europa; abbastanza per essere visibili ma non per decidere.
La più grande incognita di queste elezioni rimane dunque saldamente affidata alle coalizioni tradizionali Democristiani e Socialisti, PPE e PSE. Il malcontento diffuso nei confronti della legislatura uscente fa presagire un’ importante modifica degli attuali equilibri con una sinistra che, sebbene povera di idee e programmi e lacerata dai dissensi interni, non solo in Italia, potrebbe incarnare più che una nuova visione dell’Europa, un malcontento almeno costruttivo e moderato.
Tornando al nostro Paese, tutti gli altri non contano nulla. Molti non passeranno la soglia del 4% e serviranno solo a disperdere voti, qualcuno forse eleggerà un deputato: probabilmente la Bonino che in Europa in passato ha certamente offerto il meglio di sé. Gli altri non solo non hanno nulla da dire e da fare in questa Europa, ma non sapranno neanche dove andare a sedersi.
Per ulteriori approfondimenti vi rendiamo disponibile un documento ufficiale della UE con tutti gli incarichi ed i grafici con la ripartizione dei deputati, delle commissioni delle rappresentanze di ogni Paese dell’Unione