Anche a Berlino non c’è posto per l’Italia
Anche per Berlino, dove è in calendario il prossimo vertice annuale fra Merkel, Hollande e Juncker, va in scena lo stesso copione. L’Italia non c’è e ognuno cerca di raccontarla a modo suo. A vederla da come ce la raccontano in casa nostra, sembra proprio che Renzi non goda delle “simpatie” dei leader d’Europa. Come se le modalità di partecipazione ai summit internazionali si basasse sulle stesse dinamiche delle cene fra amici nel quartiere. Non ti invito perché mi stai antipatico o giù di lì. Su questo livello da pettegolezzo di provincia, il nostro premier trova facile terreno per impostare una “narrazione”- come spesso si usa dire oggi- comoda per la sua politica interna. In pratica ci racconta che lui sta proponendo l’Italia come partner di riferimento nella leadership degli industriali europei, andando ad occupare il posto reso vacante dalla Gran Bretagna a seguito del Brexit. Anche questa, manco a dirlo, una balla di proporzioni enormi. Noi non siamo invitati al vertice semplicemente perché, avendo disatteso ogni appuntamento della complicata ed impegnativa road map dell’Agenda digitale europea, ora siamo il fanalino di coda in questo ambito e dunque se fossimo invitati noi, si dovrebbero invitare anche gli altri ventisei membri che ci precedono, e non sarebbe più un vertice, evidentemente.
Al solito, in Italia, si confondono le pere con le patate, sopratutto quando si parla di Europa. Il summit di Berlino è infatti una tappa annuale di confronto sullo stato di attuazione della Agenda digitale europea, un’impegno importantissimo assunto da tutti i Paesi membri fin dal 2012, cioè due anni dopo la sua stesura definitiva ed approvazione del 2010. L’agenda, la cui Commissario responsabile è Neelie Kroes (più volte osannata da iurop, ndr) è un documento che impegna i Paesi membri ad uno sforzo legislativo ma anche finanziario teso a raggiungere diversi obiettivi importanti:
Ridurre progressivamente il digital divide, cioè quel gap di connessione ed accesso alla rete esistente fra i diversi paesi ed all’interno degli stessi in quelle aree dove il libero mercato ha fallito;
Armonizzare i sistemi di sicurezza e di trasmissione dei dati;
Codificare il sistema di distribuzione delle informazioni, siano esse di tipo culturale, tecnico, informatico o relative ai dati personali;
Unificare il sistema di numerazione telefonica;
Creare un unico mercato digitale.
Questo solo per citare gli elementi più importanti.
Assunto l’impegno, cosa si è fatto nel nostro Paese? Un bel niente si può dire. Anzi, a giudicare da quello che si è fatto, forse sarebbe stato meglio rimanere del tutto fermi.
Già a cominciare dal governo Monti e sotto la spinta di Passere si era cominciato con il dividere le competenze, attribuendo compiti diversi, ripartendoli fra MISE, MIUR e Funzione Pubblica. Attribuendo così le competenze per settori: banda larga e digital divide allo Sviluppo economico, smart city e Horizon 2020 all’Istruzione e digitalizzazione della PA alla Funzione pubblica. Poi arriva il governo Letta e invece propone di accentrare nuovamente tutte le competenze sotto un’unica Agenzia per l’Italia Digitale, ma anche Letta dura poco. Da notare che entrambi i governi Monti e Letta si erano premurati di inserire i finanziamenti per l’attuazione dell’ agenda digitale fra le priorità per lo sviluppo economico, necessarie, anzi indispensabili per il rilancio della nostra economia. Poi si sono curati molto più di tagliare le spese sociali che di investire in sviluppo, come sempre.
Alla fine arriva il governo Renzi che invece mette in moto un sistema a gare pubbliche gestito da Invitalia (altro italico carrozzone in piedi fin dal 2003 con scopi ancora tutti da chiarire)) che a sua volta costituisce una società ad hoc, la Infratel per attuare almeno la connessione a banda larga. Poi però i soldi per la spesa pubblica servono più per iniziative propagandistiche tipo bonus e jobs act ed il risultato è che a quanto pare nell’ultimo Def, quello che dovremmo far approvare dai nostri partner europei, di Agenda digitale non se ne parli neanche.
Se andate a guardare il grafico riportato da iurop, il risultato in termini di connessione a banda larga (solo uno degli aspetti dell’Agenda, è bene ricordarlo ndr) ci vede al 27 posto, cioè penultimi davanti alla sola Croazia. Aldilà delle considerazioni sulle immense opportunità di sviluppo, occupazione e crescita dell’economia che l’Agenda digitale avrebbe rappresentato per il nostro Paese, e che ben tre governi consecutivi hanno mancato, come potremmo mai pretendere di essere invitati ad un vertice tra i primi?